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Il sogno si avvicina. Il«Grand Chapiteau», il tendone … Si tratta di un vero e proprio villaggio che richiede 58 camion per il trasloco e include lo spazio del merchandising e quello dove gli artisti si rilassano, leggono libri, si truccano, fanno palestra o fisioterapia, una cucina, la scuola prefabbricata, riconosciuta e con metodo canadese (l’avventura del Cirque du Soleil è cominciata nel Québec, nel 1984) per i dieci bambini del branco. Cinquantatré atleti provenienti da 15 Paesi, artisti di strada, ballerini, ex atleti olimpionici che danno vita a piramidi umane che sfidano le leggi di gravità. In questa macchina dei sogni ci vuole complicità, e in avvio incontri il clown che gioca con la platea, e si viene portati di peso o si resta coi pantaloni calati, senza quella malinconia polverosa e dura che si portano dietro i vecchi pagliacci col naso di cartone e il viso pieno di rimmel e di lacrime finte. Si tratta della più grande industria del divertimento con 9 spettacoli (quattro dei quali stanziali a Las Vegas), oltre 7 milioni hanno visto «Saltimbanco», la produzione più antica. «Gli artisti – dice l’italo-belga Franco Dragone, il regista che ideò «Saltimbanco» – sono giocolieri e acrobati al servizio di un re che non esiste». Si è ispirato a una frase di Giuseppe Ungaretti: «Il barocco è un tentativo di riempire il vuoto per avere l’illusione che la vita non finisce mai». Ci sono riferimenti al ’500 e alla Commedia dell’Arte con grande profusione di colore. Lo spettacolo ha offerto un assaggio alla Notte Bianca, sulla scalinata di Trinità dei Monti, ma per la verità quei tre frammenti non hanno dato l’idea di dove si va a parare. Creature multicolori, fluorescenti o elettriche, che si arrampicano sulle pertiche cinesi come gatti, equilibristi sospesi ad altezze diverse con spaccate e salti mortali tra ombrellini e monocicli, ritmi ipnotici, pose leonardesche e maschere iper-moderne e nasi a becco o alla Cyrano. Sul fondo la rock band esegue musica dal vivo nella scenografia che ricorda un alveare, strane parole (le uniche vere sono, nel finale, in italiano) suoni disarticolati, fonemi inventati che per strane vie diventano archetipi emozionali, universali, comprensibili a tutti. Perché la carovana dove sempre batte il sole dell’adolescenza è quasi tagliata più sui gusti degli adulti. |
Valerio Cappelli |
(da “Il Corriere della Sera” – Cronaca di Roma”)
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