La lezione del Circo Bidone
Vivere lentamente. Una mostra di fotografie di Paolo Simonazzi ospitata alla Mediateca
Quando l’inadeguatezza diventa poesia del mondo
MATERA- Slow, very slow… al ritmo di un vecchio blues. Vivere lentamente? Si può. Ma non basta sollevare il piede dall’acceleratore. Non è una questione di prudenza. È la spina che almeno ogni tanto bisognerebbe staccare. «Provare per credere», ripete chi è riuscito. C’è un’altra vita che si lascia prendere e che ti prende se non prevalgono la frenesia e le mille zavorre di un mondo che, nonostante tutto, cambia. Muta sottraendosi a inutili violenze quotidiane e conduce a traiettorie altre, meno battute, ma dove non c’è nulla di esagerato, pretenzioso, artificiosamente ricercato o banalmente sdolcinato, se si riesce a parlare ancora di poesia. E poi, si può fare poesia non solo con le parole. Si può anche con la luce, che va oltre il mezzo fotografico. Paolo Simonazzi, da questo punto di vista, è molto di più di quello che riesce a dire di se stesso. È anche più di un fotografo. Per esempio, è un medico. È così che si guadagna da vivere. Ma niente da spartire con l’aria professionale e barbosa dei soliti camici esteriormente bianchi. Accento inconfondibile, sorriso aperto, leale, tipico di chi mette insieme e condivide anche quello che prende dal lavoro quotidiano. Perché un medico serio riesce a curare, ma un buon medico può anche raccontare, testimoniare: un impegno, una propensione. Così, l’immagine fotografica, quando non è mera tecnica oppure solo bella superficie, diventa movimento denso, profondo proprio come una testimonianza che si snoda attraverso un avvincente racconto per immagini. Simonazzi è l’autore di una mostra fotografica allestita alla Mediateca provinciale di Matera. La prima di una serie che saranno proposte seguendo percorsi alternativi, esterni ai circuiti più celebrati. Tutto questo, ovviamente, non sottrae nulla alla qualità delle iniziative in programma. Queste, tra l’altro, come anticipato dal direttore di un luogo che va affermandosi tra i più dinamici nell’ambito della cultura cittadina, Vincenzo Malfa, interagiranno con un’altro evento legato alle immagini, quelle del cinema, ma sempre nell’ottica di produzioni indipendenti. Un capitolo che presto verrà illustrato e approfondito ufficialmente in previsione di un festival del grande schermo di caratura internazionale. Sulla stessa lunghezza d’onda l’assessore provinciale alla Cultura, Rosa Rivelli, che ha annunciato l’ormai prossima messa a punto del percorso che porta alla nascita di un Distretto culturale. Indicazioni, stimoli utili ad allargare l’orizzonte di un discorso che in sede di presentazione della mostra di Simonazzi si è incrociato con le parole ipnotiche spese da Angela Madesani. Molto più di una curatrice di fotogrammi da esporre. Qualcosa di più anche del mestiere di storico dell’arte o di autrice di numerose pubblicazioni tra cui, l’ultima, un’accurata panoramica della «Storia della fotografia» edita da Bruno Mondadori. Non è il massimo l’anglicismo talent scout, perché abusato e in questo caso forse riduttivo, ma rende bene l’idea. Madesani, quando promuove un autore, difficilmente sbaglia. Apparenza tranquilla, personalità tenace come poche, in realtà, a Matera ha catturato l’attenzione anche perché altra e suggestiva è risultata la differenza di tensione rispetto alla serenità interiore quasi orientaleggiante che riesce a infondere intorno a se stesso Simonazzi. Il medico fisiatra per qualche anno ha seguito il «Circo Bidone», affidandosi sicuramente a qualche globulo rosso che, secondo vecchie memorie, la sua famiglia si porta dietro per via di un’antica discendenza di qualche avo di origini zingare. Non è stato facile convincere Francois, il deus ex machina del «Circo Bidone», un piccolo-grande spettacolo ambulante che ha il suo seguito. È conosciuto, per certi versi celebrato. Ma a tanti è stata negata l’occasione di catturare in camera oscura i momenti della vita quotidiana di questa realtà circense. Volutamente i suoi artisti non si concedono allo show business, non svendono le emozioni che è capace di suscitare il loro spettacolo, non amano essere seguiti nei loro continui spostamenti. Del resto, chi ha per tendone la volta celeste, se non piove, può permettersi di affermare la libertà tipica di ogni comunità errante anche solo girando tra il pubblico con un cappello dopo microcosmo al quale si è accostato anche Alessandro Bartoli, uno degli autori del catalogo stampato su carta riciclata per i tipi della Societas di Reggio Emilia, che sottolinea come «l’acrobata, il giocoliere, il funambolo apolide e anarchico dall’esistenza girovaga, ha spesso ispirato il mondo dell’arte per l’intrinseca valenza metaforica, per il suo costruire un simbolo chiaro della condizione umana nell’appartenenza ad una piccola comunità senza radici». Sull’occhio rotondo della pista, un gioco di specchi e continui rimandi tra artisti e spettatori, un dentro e fuori dove i confini saltano, una confusione bella e gioiosa, si è invece soffermato Michel Quétin, mentre il primo intervento scritto appartiene a un maestro dello spettacolo teatrale e musicale in forma di cabaret del calibro di Monia Ovadia. Il testo intitolato «L’inadeguatezza come poesia del mondo» è tutto da leggere e decisamente impreziosisce il catalogo. Vale la pena sospendere ogni altra descrizione e proporre almeno un frammento del suo occhio lungo, uno straordinario sguardo sul mondo: «Il secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle con tutto il suo bagaglio di illusioni e di orrori è stato carico di straordinarie contraddizioni. Il mondo dello spettacolo ha vissuto a suo modo la natura contraddittoria del tempo di cui siamo ancora in larga misura figli. Il secolo XX si apre con due icone dell’arte scenica che faranno trionfale fortuna: Barnum e Charlot. La logica di Barnum vincerà su tutta la linea al punto da divenire il paradigma non solo per lo show business, ma per l’intera società dello spettacolo. La geniale intuizione di Barnum dovrà tuttavia pagare alla propria incondizionata vittoria il prezzo di un degrado senza limiti. Lo “sconfitto” Charlot mantiene invece il suo inalterato splendore, anzi la sua vetta poetica s’innalza. Noi esseri umani, perlomeno coloro che tengono ieri ora e sempre a questa qualifica, non sanno rinunciarvi, o per meglio dire, non sono disposti ad abbandonare il cammino tracciato dall’indomabile grazia della sua inadeguatezza». Pasquale Doria
Da La Gazzetta del Mezzogiorno del 18-05-06
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