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Fratelli La Veglia domatori di sogni

Circo Wegliams

Fratelli  La Veglia, domatori di sogni

Duri a morire: l’ultima famiglia circense campana

«Se ci entri ti accorgi subito che è un mondo diverso. La quarta dimensione». Gaetano Pappalardo, salernitano, la conosce a fondo: da anni fa il commercialista per tanti circhi, nel settore lo conoscono tutti. Un lavoro, ma anche un amore. Con altri appassionati ha fondato un sito web che raccoglie esperienze, foto e tour degli spettacoli itineranti, italiani ed esteri (www.circusfans.net). Una rete virtuale in grado di catturare tutti i nomadi circensi. Tra questi ci sono alcuni amici di Gaetano, una famiglia di artisti con un passato importante, i Formisano-La Veglia. Sono campani, ci tengono a dirlo, anche se l’origine nel loro lavoro è un concetto instabile. Come la lingua, sfumata in una miscela di accenti diversi, distinta da uno slang tutto particolare. «Una sorta di dialetto universale del circo – spiega Antonio Formisano, direttore artistico del Circus Wegliams – dove le persone “normali”, che stanno dall’altra parte dello “chapiteau”, il tendone, si chiamano “fermi”, gli spettatori “gaggi” e quelli del mestiere “dritti”». Sulle spalle di Antonio, ex trapezista, e del fratello Pasquale, domatore di tigri ed elefanti, c’è una storia lunga un secolo, costellata da molti successi, anche in Turchia, Romania e Grecia. Ma oggi, nella casa viaggiante dei Formisano, si sente discutere di bollette della luce, tasse di affissione e occupazione del suolo pubblico: l’eco di una crisi che fagocita lentamente il circo. «Soprattutto le piccole o medie carovane come la nostra. Una volta la platea era sempre piena e i comuni ci ospitavano in piazze decorose. Didentro giravano più soldi. Adesso i contributi dello Stato non bastano più, non riusciamo a mantenere tutti gli spettacoli, né a comprare altri animali. Gli elefanti indiani e il rinoceronte stanno invecchiando». Prima o poi moriranno, ma il Wegliams no, parola di mamma Rosa , stella del contorsionismo negli anni ’50: «Tutta la nostra vita l’abbiamo passata dentro il circo, porteremo avanti il nostro sogno a tutti i costi». Nascere, vivere, morire sotto un tendone, è questo il destino dei circensi, è scritto nel loro Dna, fin da bambini. «Una gioia e un problema», ricorda Formisano: «Io ho tre figli piccoli, come è accaduto per noi probabilmente anche loro faranno la scuola da nomadi, quattro giorni in una città, quattro giorni in un’altra».

Vita dura. Se a ostacolarla ci si mettono anche i “dritti” può diventare intollerabile. L’episodio del circo Marino, alias Raffaele e William Ingrassia, ancora in carcere con l’accusa di traffico internazionale di esseri umani e riduzione in schiavitù, ha rafforzato l’ostilità che le istituzioni hanno nei confronti dei circensi. Lo sa bene Pappalardo: «In questo periodo i controlli dell’Ispettorato del lavoro si sono intensificati. Questo è un bene, ma è chiaro che i piccoli circhi, che non si chiamano Orfei, Togni o Medrano, e che non sono mai del tutto in regola, rischiano di chiudere per un cavillo burocratico». Per fortuna, al Circus Wegliams le condizioni di lavoro sono ottimali, gli alloggi puliti e il tendone sicuro. Nonostante le difficoltà, il clima è sereno, lo capisci dai sorrisi degli artisti, un’unica, grande famiglia dura a morire.

Da www.ilgiornalista.unisa.it del 20/04/08

 

23/04/2008 9.49.19

LA STORIA DEL CIRCO

 

 

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