Il trapezista della guerra fredda
Ravil Biktagirov lavorava come trapezista nel famoso Circo di Mosca al tempo dell’Urss. A Mosca il circo non era sotto un tendone, ma in un grande anfiteatro permanente. Per i russi era un’arte: avevano i migliori giocolieri, i migliori clown, i migliori trapezisti, o almeno così loro pensavano. Ogni estate il circo partiva per una tournè in Occidente. iI suo scopo non era solo quello di far divertire grandi e bambini a Parigi, Londra, New York, ma anche di portare un pezzo di Russia in terre straniere, di fare capire che, oltre al comunismo, allo Sputnik e ai missili nucleari, a Mosca esistevano degli artisti bravi, buffi, coraggiosi. Faceva parte di quella che, negli anni della Guerra Fredda, qualcuno chiamava “citizen diplomacy”: i leader potevano litigare, ma a livello di gente comune si poteva dialogare e comprendere di non essere poi così diversi gli uni dagli altri. Dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan, per alcuni anni, il Circo di Mosca non andò più all’estero: era una ritorsione dell’Occidente. Poi, sul finire della perestrojka e dell’Urss, i viaggi ricominciarono. Biktagirov era il trapezista più bravo del circo. Una volta, dopo una esibizione a Las Vegas, conobbe uno spettatore americano, fecero amicizia e nel suo giorno libero andò a trovarlo a casa insieme a tutta la sua troupe. Pescarono insieme, bevettero insieme, diventarono amici, restarono in contatto. Anni dopo, crollata l’Urss, anche il Circo di Mosca è andato in declino. Molti suoi artisti, che in era sovietica erano sovvenzionati dallo stato, potevano studiare e non avevano problemi economici, di colpo si sono trovati a corto di soldi nella nuova Russia degli oligarchi e del capitalismo. Qualche clown si è messo a fare spettacolini in proprio per i nuovi ricchi di Mosca. Qualche giocoliere e trapezista ha cercato lavoro al Cirque de Soleil. Ci ha provato anche Biktagirov, ma non si è trovato bene. Agli artisti del circo russo, il Cirque de Soleil non sembra un “vero” circo: troppe maschere e costumi, troppa messa in scena, non abbastanza evoluzioni spericolate. Alla fine Biktagirov è rimasto senza lavoro. Ha scritto al suo amico americano. Lo ha raggiunto a Las Vegas. Ha trovato lavoro: come macchinista in uno spettacolo in un casinò. Il suo amico, che fa lo scrittore, pensa di scrivere un libro sugli ex-artisti del Circo di Mosca. Vorrebbe intitolarlo “Clowns nel deserto”. Ogni tanto Biktagirov va a trovare l’americano, che abita appena fuori Vegas: bevono una birra insieme, guardano il deserto e il russo racconta di come era bello stare sospeso su una corda lassù, in equilibrio tra le superpotenze della guerra fredda.
Di Enrico Franceschini
Da https://franceschini.blogautore.repubblica.it
18/05/2012 00.09.31
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