INTERVISTA A ANDREA GIACHI
È sceso dalla ruota della morte per custodire le anime del circo
Nel Veronese un cimitero unico al mondo per i defunti delle grandi famiglie circensi «Lo volle il fondatore del Medrano: la moglie Wally Togni lo ha seguito un anno fa»
INTERVISTA A ANDREA GIACHI
Da IlGiornale.it INTERVISTA A ANDREA GIACHI
Girano, girano, girano. Alla fine si fermano tutti qui, per sempre. Cimitero di Bussolengo (Verona). Una scala nascosta dietro l’altare. «Tombe dei sacerdoti» e «Cripta caduti Grande guerra 1915-1918» indica la freccia. Ma nei sotterranei non sono sepolti soltanto preti e soldati. Due cancelli aprono le porte anche ai sacelli degli artisti che hanno fatto la storia del circo. A destra i Casartelli e i Caroli. A sinistra i Larible. Sopra, all’aperto, i loculi di altri circensi – Giachi, Zanetti, Celè, Zorzan, Cristiani, Lizzi, Bercini, Silvest, Hoppeneimer, Forgione, Miletti, Medini – che al buio dell’ipogeo hanno preferito i colombari baciati dal sole o la nuda terra. Le insegne esotiche che via via hanno contrassegnato le loro aziende dicono poco ai giovani d’oggi: Arena Rosa, Circo Aurora, Circo equestre Caroli, Circo Coliseum, Circo della Germania Orientale, Circus Ker-Krol, Grand cirque de France, Circo Monumental, Circo di Barcellona, Circus Heros. Ma all’udire il nome del circo Medrano chiunque capisce, se non altro perché i 42 autotreni e gli altri veicoli su cui viaggia non passano certo inosservati: quando si mettono in moto, arrivano a occupare quasi un chilometro e mezzo di strada.
Leonida Casartelli – «il grande capo», così sta scritto sulla lapide – è morto nell’ottobre 1978. Oggi avrebbe 90 anni. Era originario di Pasian di Prato (Udine). Fu lui a far grande il Medrano. La luce perpetua illumina una foto che lo ritrae, dieci mesi prima della dipartita, in udienza da Paolo VI, mentre porge al pontefice un ocelot impagliato, omaggio impensabile ai nostri giorni. Nel 1943 aveva sposato Wally Togni, che dal febbraio scorso riposa nel loculo sottostante, circondata da sei lumini e da fiori sempre freschi. Da qui, sei anni fa, cominciò anche l’ultimo viaggio del cognato, il leggendario Cesare Togni, nativo di Montebelluna (Treviso), consumato da un tumore all’ospedale di Bussolengo. Dopo la benedizione, i suoi, pur mantenendo il loro quartier generale a Verona, preferirono che il caro estinto proseguisse per un’altra destinazione finale, La Spezia.
«Vede? Hanno voluto anche i tinelli». Andrea Giachi, nelle cui vene si è mischiato il sangue delle dinastie Casartelli e Caroli, fa da cicerone fra le tombe di famiglia. Si riferisce ai vestiboli che precedono i sepolcri. «Figli miei, venite il più tardi possibile, ma saremo ancora uniti e per sempre», ammicca dal primo altare Eleonora Gerardi, sposa di Umberto Casartelli. I Los Francescos, al secolo Enrico, Francesco ed Ernesto Caroli, non hanno ascoltato il consiglio e oggi la guardano sorridenti dalla foto di gruppo sistemata sull’altare di fronte, ornato con tre ferri di cavallo che spiegano più delle lapidi. «Enrico è stato il più grande cavallerizzo della storia, specialista nel salto mortale in piroetta dal primo al terzo cavallo lanciati al galoppo, capace di tornare sempre ritto in piedi sul dorso peloso, non so come», lo magnifica Giachi. «Francesco era il clown bianco, è così che nell’ambiente chiamiamo il pagliaccio serio, intelligente. Invece lo stupido, quello che ride, è l’augusto».
Giachi si occupa di tutte le incombenze burocratiche del centinaio di famiglie riunite nel Circo Medrano, che qui a Bussolengo ha la sua sede: fornitori, amministrazione, paghe, logistica, permessi di soggiorno, nullaosta delle questure, licenze dei vigili del fuoco, matrimoni, battesimi, funerali. «I circensi viaggianti noi li chiamiamo dritti. Gli stanziali come me, che stanno fermi in un posto, sono i contrasti» . Lui è anche il contrasto , con tanto di chiavi, che custodisce questo cimitero degli eleganti senza eguali in Italia, visto che gli elefanti per legge non hanno diritto alla sepoltura, «quando muoiono ci costringono a bruciarli nell’inceneritore di Milano, non oso nemmeno pensare come riescano a farceli entrare, immagino che prima li riducano in pezzi, poverini».
Nel camposanto veronese riposano in tutto 62 circensi, 27 nei sotterranei, 35 in superficie. Una concentrazione unica al mondo. I Casartelli nella cripta sono 14, comprese Sara e Desiré, che, nate con la spina bifida, la loro vita non l’hanno neppure cominciata, ma furono ugualmente battezzate, «sa, noi circensi siamo cattolicissimi, e infatti gli anziani mi rimproverano perché sono l’unico che convive con Vania e che ha fatto un figlio senza essermi sposato in chiesa». Restano da occupare 14 loculi. I Caroli tumulati finora sono 8. Avanza spazio per 9. I Larible, appena 5 defunti, si sono tenuti larghi: 20 posti liberi per gli eredi. In ordine anagrafico, il primo della lista sarebbe Eugenio Larible, che però a 83 anni non ha nessuna intenzione di venire ad alloggiare qui. S’è pure risposato con una russa e ha avuto altri quattro figli, in aggiunta ai quattro del primo matrimonio. È il più grande acrobata e giocoliere vivente. La sua specialità era il trapezio Washington: stava in equilibrio con la testa, a gambe insù, sulla sbarra che ai colleghi serve per aggrapparsi. Due anni fa sparì dalla sua casa di Bussolengo. Si mobilitò persino Chi l’ha visto?, ma poi l’anziano funambolo tornò nello stesso modo in cui se n’era andato: al volante della Kia Carnival grigia. Anche il figlio David, nato nel 1957, ha mantenuto la residenza in paese. È considerato il clown più famoso del momento, alla pari con il russo Oleg Popov e lo spagnolo Charlie Rivel. Sulla tomba della madre Lucina Casartelli in Larible ha voluto che fosse incisa questa iscrizione: «Il più bel seraffo del mondo». Giachi ne ignora il significato: «È la frase che David le ripeteva sempre».
Non sembra un complimento. Serafo , o sarafo , in veneto arcaico sta per astuto, disonesto. Viene dall’arabo saraff , cambiavalute.
«Ora tutto mi è chiaro. Lucina faceva da spalla a David nei numeri di abilità, mettendosi in incognito fra il pubblico, e lui fingeva di sceglierla a caso. Un imbroglio a fin di bene».
Come mai vivi e morti del circo si sono concentrati tutti a Bussolengo?
«Il Veneto era famoso per le fiere, che attiravano folle sterminate. Incassi assicurati fin dai tempi del Circo dei sette fratelli Pivetta. Se lei pianta un palo al centro della regione, nel raggio di 80 chilometri trova il Medrano a Bussolengo, il Togni a Verona, l’Orfei a San Donà di Piave, il Mundial a Nogara. Perfino il Circo di Mosca ha sede a Badia Polesine. Leonida Casartelli – figlio di Pietro detto Pieretto, il capostipite nato a Padova nel 1860 – arrivò a Bussolengo nel primo dopoguerra per la Fiera di San Valentino. Gli piacque il posto e decise di farne l’estrema dimora per tutta la famiglia, ben presto imitato dai Caroli e dai Larible».
Restano Caroli viventi dopo l’estinzione del trio Los Francescos? INTERVISTA A ANDREA GIACHI
«La moglie di Francesco, Odette Bouglione. La foto del loro matrimonio apparve su Life l’8 dicembre 1947 perché si sposarono a cavallo, lei con uno strascico bianco di 20 metri, a Parigi. Vive ancora lì. Discende dalla più storica famiglia circense di Francia, proprietaria del Cirque d’Hiver inaugurato da Napoleone III. Viene a visitare la tomba del marito tre volte l’anno. Mi ha già detto che vuole essere sepolta accanto a lui. Io la chiamo zia. Nel mondo del circo anche i parenti anziani più alla lontana diventano zii in segno di rispetto. In realtà sarebbe una seconda cugina acquisita».
Altre parentele? INTERVISTA A ANDREA GIACHI
«Mio padre, Luciano Giachi, era figlio di una Casartelli, Rosina. Cominciò come acrobata e saltatore a terra, finì la carriera come clown. Mia madre Germana era una Caroli. Io sono nato a Pesaro nel 1969, su una roulotte, con la quale ho viaggiato fino all’età di 8 anni, quando la famiglia si trasferì a Bussolengo, dove nel 1959 zio Leonida aveva acquistato un terreno e piantato il quartier generale del circo. Qui ho frequentato le scuole elementari e medie. Papà era capace di aggiustare tutto. Nel tempo libero costruiva rimorchi, tendoni, impianti elettrici e si occupava anche di pratiche burocratiche. Dopo aver studiato informatica, ho seguito le sue orme».
Non ha provato l’emozione dello chapiteau.
«Altroché se l’ho provata. Dai 20 ai 35 anni ho girato l’Europa. E poi Grecia, Turchia, Egitto. Quattro volte in Israele, dove dire Medrano è come dire Coca-Cola, tanto che adesso abbiamo affittato il marchio a un circo locale. Ho fatto il trapezista e l’uomo volante, lavorando anche sulla ruota della morte, non so se ha presente?».
Mica tanto.
«Metta di vedere due enormi cestelli di lavatrice che girano ad alta velocità, collegati fra loro con un bilanciere. Gli artisti devono camminarci dentro e sopra. Salgono fino a 11 metri da terra, quindi non è possibile stendere una rete fissa di protezione. Se cadi, ti sfracelli».
Le manca quella vita?
«A volte vado in crisi di astinenza da segatura. Mi manca la pista, ma non la vita del circo. È il lavoro più bello del mondo, intendiamoci. Però convivere con una famiglia allargata alla lunga diventa massacrante».
Come vince la crisi d’astinenza?
«Ho i miei antidoti. Da dieci anni faccio il direttore di pista nel Galà d’oro della Fieracavalli di Verona. E da due sono fotografo ufficiale e giurato del Festival internazionale del circo di Montecarlo, fondato dal compianto Ranieri di Monaco e presieduto dalla figlia Stéphanie».
La principessa ha un debole per voi circensi.
«Il suo secondo marito, Adans Lopez Peres, è cresciuto nel Circo Medrano. Con Stéphanie ci diamo del tu, come pure con il fratello, il principe Alberto. Mezz’ora fa ero qui che scambiavo un sacco di messaggini con lei attraverso Whats app». (Esibisce come prova il display del telefonino).
Chi ha voluto quell’appellativo, «il grande capo», sulla tomba di Leonida Casartelli?
«Era il soprannome che gli aveva dato mio padre. Leonida era 25 anni più avanti di noi. Nel 1949 acquistò il primo elefante. Poi si procurò leoni, tigri, giraffe, pantere, puma, leopardi, orsi, coccodrilli, iene, babbuini, gibboni, mandrilli. Nel 1951 debuttò vestito da Tarzan in questo personalissimo safari ad alto rischio. Quando iniziò la crisi del circo, ebbe l’intuizione di affittare i tendoni per i concerti. È così che Renato Zero riuscì a mettere in scena Zerolandia e Zerofobia. Dagli spettacoli del Bussola Domani di Camaiore al teleshow Alle 9 sotto casa con Pippo Baudo, tutti sono passati sotto il suo teatro tenda».
Dello zoo che cosa vi rimane?
«Tre elefanti, due giraffe, una trentina di cavalli. Avevamo 8 tigri e 8 lama nati in casa, ma abbiamo preferito rinunciarvi. Una legge del 1992 vieta di tenere scimmie antropomorfe a scopo ludico e addirittura di farle accoppiare. Robe da matti, avremmo dovuto star lì a controllare che gli scimpanzé non copulassero. Gli ecologisti ci criminalizzano. Qualche anno fa ero in tournée in Grecia, una nostra giraffa partorì. Inviai il filmato del raro evento a Cristina Parodi, una cara amica. Mi telefonò costernata: “Andrea, non posso mandarlo in onda perché darebbe un’immagine positiva del circo e Canale 5 è una rete animalista”».
I circensi vanno in pensione?
«Mai. Restiamo attivi fino all’ultimo giro di pista. Coloro che non possono più rendersi utili, preferiscono ritirarsi a Scandicci, nella casa di riposo per gli artisti dello spettacolo viaggiante».
Quanti circhi restano in Italia?
«Un centinaio. Ma quelli di prima categoria come il Medrano sono tre».
Pensa che si estingueranno?
«Dagli 8 anni, fino ai 20, ho vissuto e pensato da contrasto , quindi so come ragiona l’opinione pubblica. E ai miei dico: se non ci evolviamo, rischiamo di finire spazzati via dagli ayatollah dell’ambientalismo. Non siamo gente alla moda. Eppure rappresentiamo l’unico spettacolo che ancora vive solo grazie al pubblico pagante».
Ma come, non godete di aiuti statali?
«Con quello che ci riconosce il ministero dei Beni artistici e culturali, non riusciamo neppure a pagare i contributi previdenziali. Il Fondo unico per lo spettacolo assegna a circhi e luna park appena l’1 per cento del bilancio. Il rimanente 99 per cento se lo mangiano lirica, teatro, cinema, musica e danza. La Scala di Milano e l’Arena di Verona avrebbero chiuso da un bel pezzo senza i 45 milioni di euro del Fus».
Che cosa chiedete?
«Una legge del 1968 stabilisce che tutti i Comuni d’Italia debbano indicare aree di sosta per gli spettacoli viaggianti. Sa quante ne sono state previste finora? Solo due, a Brescia e a Carpi. Altrove lavoriamo nel pantano. A Firenze non possiamo neppure piantare il tendone, siamo costretti a esibirci al Nelson Mandela forum. Ma dove non c’è una piazza, il circo muore».
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it
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Da IlGiornale.it
04/01/2015 16.06.10
INTERVISTA A ANDREA GIACHI
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