E’ IN USCITA IL FILM DI VELTRONI CON MAICOL MARTINI
“I bambini sanno”, e raccontano il mondo. Veltroni: “Basta fermarsi ad ascoltare”
Il docufilm di Walter Veltroni al cinema dal 23 aprile. Conversazioni con ragazzini fra gli otto e i tredici anni, di ogni ceto sociale, religione, identità culturale, intervistati in tutt’Italia. La vita, l’amore, la famiglia, la crisi, il futuro, i sogni. “È quel tempo della vita in cui si diventa ciò che poi si è”. Il trailer in anteprima
Di Alessandra Vitali
ROMA – “Spero che lo vedano i nostri genitori, così ci capiranno meglio”. Quello che Walter Veltroni definisce “il complimento più bello” l’ha fatto una ragazzina dopo aver visto il suo docufilm I bambini sanno. La frase è stata scelta per il poster, è lo slogan ideale, i bambini sanno molte cose, possono insegnarle agli adulti. In uscita nelle sale (distribuito da Bim) il 23 aprile, dopo un’anteprima all’Auditorium Parco della Musica di Roma il 14, I bambini sanno (che arriva dopo il successo del precedente documentario di Veltroni, Quando c’era Berlinguer, appena premiato con un Nastro d’argento) è un viaggio attraverso l’Italia, e la vita anche, e il futuro, con gli occhi dei ragazzini. Parlano trentotto bambini fra gli 8 e i 13 anni (Veltroni ne ha incontrati più di trecento), “di tutti i ceti sociali, di moltissime regioni italiane – spiega l’autore – di diverse identità culturali e religiose, raccontano soprattutto quel tempo della vita, il rapporto con la famiglia, con l’amore, con la speranza, anche con Dio”.
Sono pensieri grandi quelli che i ragazzini traducono in parole, frutto di ragionamenti, “quante volte, quand’eravamo bambini noi, prima di dormire abbiamo pensato a noi stessi, alla nostra coscienza, ci siamo interrogati sul futuro, sui nostri genitori. Quello è il tempo delle domande – dice ancora Veltroni – e ho voluto raccontare le risposte che i bambini si son dati alle grandi domande”. Un lavoro che parte da lontano, “dal punto di vista letterario, cinematografico e umano mi ha sempre interessato quel tempo della vita in cui si diventa ciò che poi si è, quegli anni in cui non si è del tutto bambini e non si è del tutto ragazzi, in cui tutte le esperienze e le emozioni lasciano un segno talmente forte, in cui ogni scoperta viene razionalizzata”. Basta ascoltare. E non pensare che i bambini non abbiano un pensiero elaborato, “i grandi spesso parlano con loro a voce alta, scandiscono le parole – osserva l’autore – manca solo che usino il verbo all’infinito come fanno gli stranieri… Io ho cercato di ascoltarli e di raccontare proprio come ogni cosa, in quel tempo della vita, venga vissuta, metabolizzata, macinata, interpretata”.
Nel film i bambini sono colti nell’ambiente in cui vivono, si intravedono le loro case, le loro camere, pareti rosa libri pelouche poster zainetti colorati palloni da calcio, anche però le carrette del mare ammassate nei porti in cui i piccoli e i grandi sono sbarcati dopo fughe dolorose. Cosa serve nella vita per essere felici? “Sognare”. Hai sentito parlare della crisi? “Sì, bisognerebbe fare un po’ una rivolta”. Cosa pensi del musulmani? “Niente. Sono come noi. Siamo tutti uguali, tanto”. Che cos’è che i bambini sanno più dei grandi? “Inventare le cose”. Sono, queste, alcune delle domande poste da Veltroni ai bambini del documentario, e le loro risposte. “Abbiamo fatto lunghe conversazioni, li ho interrogati ad esempio anche sulla crisi, ho percepito un senso anche un po’ cupo del tempo in cui viviamo. Però, alla fine del film, si esce con un senso di grande speranza”. Ma i bambini l’hanno visto? “Abbiamo fatto una proiezione in una scuola media, alla fine un’ora di dibattito, lì una bambina mi ha detto ‘ci porterò i miei genitori, così mi capiranno meglio’, che è poi la frase che abbiamo scelto per il poster del film. È stato il complimento più bello. Con ciascuno di loro – continua l’autore – ho stabilito un rapporto di affetto, amplificato dal fatto che negli ultimi mesi ho vissuto con le loro immagini, frasi, parole. Se ce n’è uno che mi ha colpito più di altri? Ce ne sono tanti. Penso al senso di allegria, di gioia che trasmettono due gemelline, una down e l’altra no”.
Meno allegria, forse, al pensiero che forse non tutto andrà come questi straordinari bambini, con grande tenerezza, immaginano. “Un regista amico mi ha detto ‘bisognerebbe tornare da loro fra dieci anni’, non è detto che non si possa fare, è un po’ l’idea che sta dietro a Boyhood e, prima ancora, a quel bellissimo progetto che partì dalla Bbc alla metà degli anni Sessanta, si chiamava Seven Up, le interviste a un gruppo di ragazzini, poi ritrovati di sette anni in sette anni per vedere i cambiamenti. Certo, il futuro magari non sarà bello come loro immaginano – conclude Veltroni – ma io voglio continuare a credere e sperare che, alla fine, la vita riservi loro le bellezze che sono state riservate a ciascuno di noi”.
Da Repubblica.it
15/03/2015 15.57.02
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