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Liana Orfei: “Ho lavorato con Fellini e Risi, ma il mio regno era il tendone…”

 

Sul quotidiano La Stampa di oggi una nuova intervista a Liana Orfei, inerente la sua carriera oggetto del volume autobiografico “Romanzo di vita vera”.

Quando sono stata invitata a capodanno a da Umberto Agnelli e da sua moglie Allegra ho capito che di inarrivabile esiste solo Dio. Persone alla mano, gentilissime, a casa mia eravamo più montati». Dal tendone del circo al jet set internazionale, da Grace e Ranieri di Monaco a Fellini, Risi, Totò e De Filippo. E già, perché l’incredibile vita dell’84enne Liana Orfei, stella degli Anni 60, comincia proprio con Fellini, come racconta l’autobiografia Romanzo di vita vera (Baldini e Castoldi:) è Natale, Liana ha vent’anni, un matrimonio felice con un artista e una bambina di pochi mesi, Cristina, quando la chiama l’agente di Fellini.

E quindi?

«Fellini ti vuole incontrare, mi dice. Maio non ripensavo proprio. Mi fece un provino che non andò bene perché disse che avevo una faccia troppo da ragazzina ma il solo fatto che Fellini si fosse interessato a me scatenò tutto. Copertine, offerte di lavoro, agenti che litigavano per avermi. E pensare che io avevo orrore del cinema. Il nostro era un mondo severo, pieno di sacrifici, un mondo povero. Prima di diventare un artista lavori anni, ti rompi le ossa e forse non diventi neanche bravo. Non è come cantare o recitare, noi siamo abituati al pericolo. Il trapezio, i leoni, le tigri… Ho perso due amici, uno per gli orsi grizzly e tufo peri leoni. L’errore però è quasi sempre umano».

Non era interessata al cinema ma ha lavorato in più di 40 film, Gassman, Tognazzi, Mastroianni, Orson Welles, chi le è rimasto nel cuore?

«Intanto Dino Risi, ho fatto due film con lui, 11 Profeta e I nostri mariti. Bello, gentile non mi sono innamorata di lui solo perché ero già innamorata. A Tognazzi che era irresistibilmente attratto dalle donne, diedi un sonoro ceffone per avermi baciato davvero sul set. Non se l’è presa. Anzi siamo diventati amici. Welles con me era gentilissimo perché gli piaceva il circo ma odioso con la troupe. I geni, quelli veri non sono tutti modesti, sono pieni di sé. Pesava 140 chili quando abbiamo girato I Tartari. Con Mastroianni ho girato nella gabbia dei leoni, ero terrorizzata, facevo di tutto per non far sentire ai leoni che avevo paura. Ero curiosa di vedere come se la sarebbe cavata lui. Stupefacente. Ha recitato con una naturalezza incredibile, come sei leoni non fossero a pochi metri. Ho pensato o è un incosciente o è davvero coraggioso. Alla fine gli ho fatto i complimenti. Ci siamo scambiati quello che è passato come il bacio più lungo della storia. Mi chiesero come era stato baciare un uomo così desiderato dalle donne e io per imbarazzo risposi che era stato come baciare un cartone. Gran signore, quando l’ho rivisto ha fatto finta di niente».

E di Totò che ricordo ha?

«Unvero principe, galante con tutte le donne, gentilissimo conia troupe. Era interessatissimo ai down, mi chiedeva come erano nella vita, se erano tristi. E io “principe, sono persone come tutte le altre, qualcuno è triste qualche altro no”. Però insisteva. Forse voleva che gli dicessi che sì erano tristi nella vita. Oggi gli risponderei così, per fargli piacere. Ho conosciuto tanti principi ma i signori come Totò sono rari».

Con Fellini però il rapporto è stato più intenso.

«Federico amava il circo e con sua moglie Giulietta Masina veniva sempre a trovarci quando eravamo a Roma. Con lui ho lavorato tanto e anche a un film abbastanza profetico, I clown, che finiva con la morte del circo. Fellini però negava questa interpretazione. Le mille e una notte, il più bello spettacolo che abbiamo fatto, è nato da una sua idea, ci ha dato il premio Oscar Danilo Donati per i costumi e le scenografie. Imprese faraoniche, oggi ima cosa del genere non se la può permettere neanche Berlusconi».

Il circo è finito per questo?

«Il circo non è finito per niente, è finito quel tipo di circo. Anche il Barnum non c’è più, è rimasto il nome. Ma che rimpianti… Quando volavo sull’ippogrifo e sentivo il pubblico. Una sensazione incredibile. Arturo Brachetti mi ha confessato che vedendo Le mille e una notte ha deciso di fare l’artista. Non si può avere avuto un regno e non avere più niente».

Quanto hanno contato i movimenti animalisti nel declino dei circhi?

«Di sicuro non ci hanno aiutato. Il circo senza animali è come l’opera senza musica. Certo ci sono animali che soffrono e non possono lavorare nei circhi come le giraffe ma la gente del circo ama gli animali, li tratta come figli, molto meglio che in certe case, gli ultimi due cani che ho avuto li ho trovati legati con il fil di ferro e pieni di zecche. Chi abbandona gli animali è un criminale ma il circo senza animali non è circo. 1l mio amatissimo Cirque du Soleil ci ha provato, sono falliti».

Di Maria Berlinguer

Da La Stampa

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