“Circus Giant Dies”: l’incredibile storia di Hugo il gigante italiano a New York
Esposto al divertimento della borghesia, Paolo Antonio Ugo fu ucciso dal successo cavalcato su una diversità derisa; la tomba al Green-Wood di Brooklyn
Appare oggi incredibile la curiosità morbosa dei nostri avi per coloro che erano affetti da gravi anomalie estetiche, nanismo, obesità, da donne con folte chiome barbute. Tutti rientravano, nel panorama ottocentesco del divertimento mondiale, nella categoria di freak.
Esposti al divertimento della borghesia e dei frequentatori dei circhi a causa delle loro anomalie fisiche ed estetiche, proprio come gli italiani Battista e Paolo Antonio Ugo (classe 1886 e 1887) affetti da gigantismo ovvero da quella drammatica condizione clinica caratterizzata da un eccessivo accrescimento somatico delle strutture anatomiche del corpo. È chiamata anche macrosomia e da ciò erano affetti i due fratelli italiani originari di Vinadio, zona montuosa del basso Piemonte occidentale.
Francesizzati ben presto a seguito delle veloci influenze economiche della valle, e notati da un circo itinerante, fecero presto la fortuna di molti mercenari e viaggiarono in Europa con la loro stazza, acquisendo una discreta fortuna sino alla morte improvvisa di Paolo, a soli 26 anni.
L’America era in epoca la terra promessa e ad Hugo, il gigante superstite, sembrò impossibile poter essere assunto e lavorare nel Circo Barnum&Bailey di New York, famosissimo nella borghesia della grande mela. Barnum & Bailey Circus continuò a fare i suoi spettacoli come dipendente della Ringling Bros finché non si unì stabilmente con il circo dei Fratelli Ringling, nel 1919, facendo da allora insieme gli spettacoli, prima di chiudere definitivamente a maggio 2017. I ruoli erano pur sempre umilianti e Hugo dovette interpretare anche Tarzan tra le risate degli spettatori. Ma la pressione psicologica, anche di fronte ad un successo cavalcato su una diversità derisa, alla lunga uccide. Infatti, la salute di Hugo, alto ben 238 cm contro i 160 dell’epoca, venne a mancare e presto, nel 1916, si spense a Manhattan.
La leggenda americana vuole che il suo corpo venne trafugato dal Greenwood Cemetery di Brooklyn dai nativi americani, sventurati compagni nei circhi, per essere seppellito nelle poche terre selvagge che ancora, in epoca, non erano state strappate alla cultura dei pellerossa. Il giorno successivo alla morte dell’ultimo gigante italiano la notizia apparve sul New York Times e nelle strade della città si diffuse una malinconica notizia che riguardava un gigante italiano: sui giornali iniziò a circolare la voce Hugo era morto di nostalgia per la sua amata terra natia, l’Italia. Sulle macerie umane di queste disgrazie stava nascendo il romanticismo degli anni Venti e la notizia faceva il giro dei caffè e delle strade popolari più affollate.
Ho voluto, prima della pandemia, recarmi al Green-Wood Cemetery di New York, a Brooklyn e cercare la tomba di Hugo: l’ho ritrovata grazie alla mappa storica che gli addetti alla reception (un sistema efficiente e ben collaudato, che anche sul web offre spunti di riflessione storica sulle famiglie americane che vi sono sepolte) mi hanno fornito.
Ho constatato come non sia lontanissima da quella di Basquiat, anche se manca l’epigrafe cancellata dal tempo.
Consiglio questo viaggio suggestivo nella oasi verde di Brooklyn, da cui si può godere di un tramonto mozzafiato su Manhattan, tra monumentali memorie, nel solco dell’ultimo viaggio terreno di un italiano dimenticato. Non un gigante, ma un italiano. Finalmente solo un italiano.
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