Roma: gli animali del circo invisibile, con vista sul traffico dell’Appia antica
Elefanti e dromedari, la gabbia con le tigri, le roulotte degli artisti: sono lì, chiedono aiuto, ma nessuno li vede. Cronaca di una rimozione
A fare gli onori di casa è Vinicio Canestrelli, nipote di Lidia Togni, ci accompagna lungo il suo circo snocciolando dati che conosce a memoria. Oltre alle due elefantesse, hanno sei tigri del Bengala, più due cuccioli appena nati, sedici cavalli, due lama, due dromedari, due vatussi africani. I felini mangiano ognuno dai sei agli otto chili di carne al giorno. Per tenere i trenta animali nelle condizioni in cui loro li tengono, cioè eccellenti, ci tiene a sottolinearlo, occorrono oltre seimila euro al mese. Questo per gli animali, e per gli esseri umani?
E LE ISTITUZIONI? QUALCUNO SI È FATTO VIVO? VINICIO SCOPPIA A RIDERE: «NON SI È MAI FERMATO NESSUNO»
Nelle roulotte piantate attorno ai grandi tendoni vivono stabilmente quarantatré persone. Tutti parenti, zii, cugini, più o meno alla lontana. Tutti con cognome Canestrelli. O Togni. Sono loro che fanno sopravvivere il circo. Gli artisti, invece, sono stati mandati a casa, con la speranza di richiamarli non appena si potrà ripartire. Ma anche tra quelli che sono rimasti c’è chi si esibisce.
In un circo tutti sono artisti, tutti si cimentano in qualcosa. Lo stesso Vinicio è un domatore, oltre a essere a soli trentacinque anni padre di quattro figli, il più piccolo ha appena un anno, fuori alla sua roulotte ha creato un piccolo gallinaio, così al bambino possono dare uova fresche. Vinicio ci porta in processione lungo l’enorme perimetro che occupa il suo circo. Solo di autotreni se ne contano almeno otto, parcheggiati poco distanti dalla biglietteria-ingresso. Arriviamo al grande tendone centrale, quello dello spettacolo, il cuore di tutto. Una capienza di milleduecento posti, prima della pandemia di solito facevano almeno due spettacoli al giorno, che diventavano tre alla domenica. Il biglietto per un adulto non costa oltre i dieci euro. Roma: gli animali del circo invisibile
Lo striscione che chiede aiuto
Il loro è da sempre uno spettacolo popolare, nell’Italia rurale il loro arrivo era un momento che si aspettava per un anno intero, l’unica distrazione rispetto alla vita di sempre. Ma ora, ora è tutto fermo. Hanno provato a spostarsi fra la prima e la seconda ondata di Covid-19, ma sono dovuti tornare indietro di corsa, per fortuna l’Ippodromo delle Capannelle si è reso di nuovo disponibile. E le istituzioni? Qualcuno si è fatto vivo? Vinicio scoppia a ridere. Indica con gli occhi la via Appia Nuova. Questa strada passa di fronte all’aeroporto di Ciampino, da qui partono e arrivano i politici di ogni ordine e grado del nostro Paese. Non si è mai fermato nessuno. Eppure, lo striscione su cui a lettere cubitali chiedono aiuto è grande parecchio. E il Comune? Seconda risata. Mai vista e sentita anima viva. Se riescono a sopravvivere è grazie all’aiuto dei privati, dei semplici cittadini, oppure di gruppi, come i vigili del fuoco che hanno una grande caserma poco distante.
La crisi dovuta alla pandemia
Ma, oltre alle difficoltà, c’è qualcosa di più strisciante e profondo che incombe su questi tendoni a ridosso della strada. Un circo è fatto per muoversi, per girare ed esibirsi. Questo blocco forzato sta dissanguando la passione di molti, e di ripartenze ufficiali ancora non si parla. Come ogni ingranaggio, più sta fermo e più sarà difficile, e costoso, rimetterlo in moto. Vinicio e il Circo Lidia Togni non sono certo gli unici a vivere questo momento così difficile, nelle periferie di molte grandi città, o nelle campagne dei piccoli centri di provincia, ne stazionano a decine ridotti esattamente come loro. In Italia sono censiti una novantina di circhi regolarmente in attività, alle proprie dipendenze lavorano almeno quattromila persone. Gli animali sono tanti, parliamo di almeno duemilacinquecento esemplari, cavalli e felini sono quelli più numerosi.
La filosofia del circo
In gioco non c’è solo la sopravvivenza economica, ma uno stile di vita, una filosofia che a partire dal nomadismo è sempre più messa in discussione. Quella degli artisti del circo è una tradizione nobile e riconosciuta alla pari di ogni altra disciplina artistica. Giocolieri e trapezisti, equilibristi e acrobati. Nel mondo ci sono scuole vecchie di secoli, dove per entrare si faceva a gara come nei grandi conservatori o accademie. I russi. I cinesi. I francesi che hanno fatto molto negli ultimi decenni. E noi italiani. Il circo è composto da famiglie che tramandano esperienze e professioni, ci si comincia ad allenare a quattro, cinque anni, e non si smette mai più. Arriviamo in uno dei capannoni adibiti a stalla. Ci sono i dromedari che mangiano accanto ai vatussi e alle loro corna gigantesche, poco oltre, quattro bellissimi cavalli corrono in mezzo ai prati che viaggiano a fianco dell’Appia Nuova. Volti di automobilisti incollati a questo spettacolo surreale, inatteso. Noi proseguiamo. Ci aspetta l’incontro più desiderato. Sei tigri del Bengala sonnecchiano sotto il solo primaverile di Roma. Ci separa da loro una doppia gabbia, per nessun motivo possiamo sporgerci, sembrano addormentate, distratte, ma in un secondo scattano ben oltre la nostra capacità di reazione, soprattutto quando gli diamo le spalle.
La tigre e i suoi cuccioli
In mezzo al recinto che le contiene staziona un enorme tronco consumato sulla parte superiore. Sono i loro artigli ad aver scavato il legno, quello è il loro personale tiragraffi. A vedere le incisioni, profonde centimetri, un brivido dalla nuca all’osso sacro. Giriamo attorno alla gabbia per arrivare al clou finale, ci vorrebbe un rullo di tamburi. In una gabbia a parte, la tigre che ha appena partorito, sotto le sue zampe gigantesche miagolano due cuccioli venuti al mondo da un paio di settimane. Si resta senza parole. Per vedere meglio ci si sporge, forse troppo, anzi, sicuramente. Gli occhi della madre ci ricordano che la morte è lì a un passo. Il tour di Vinicio non lascia grande spazio alle smancerie, riprendiamo verso un’altra zona del circo. Mentre camminiamo, molte domande si omettono, sarebbe come infierire su qualcuno messo in ginocchio dagli eventi.
L’ELEFANTE REBECCA NON PARLA, MA FORSE DI SOLUZIONI NE AVREBBE PER METTERE CONCORDIA FRA UOMINI E ANIMALI
Inutile dire a Vinicio quello che sa già perfettamente, anche se magari non lo ammette nemmeno a sé stesso. La crisi dei circhi non nasce di certo con la pandemia, semmai quest’ultima è stata una specie di colpo di grazia. Gli spettacoli circensi perdono migliaia di spettatori ogni anno. Il settore è in caduta da decenni. In molti attribuiscono la responsabilità principale di questa crisi alla pessima pubblicità fatta dalle tante associazioni animaliste, più in generale dalla nuova sensibilità con cui ci relazioniamo al mondo animale. Sensibilità che non vede certo di buon occhio lo sfruttamento degli animali in questo tipo di spettacoli. Sono molte le iniziative che vorrebbero vietare l’utilizzo di animali nelle esibizioni, e molti Paesi europei stanno procedendo in questo senso.
IL CIRCO NON È VECCHIO DALL’ESPLOSIONE DELL’EPOCA DIGITALE. ERA VECCHIO QUANDO ERAVAMO BAMBINI NOI
Anche in Italia diverse regioni e province lavorano per arrivare a una normativa chiara. Ma il problema non è nemmeno questo, almeno non quello principale, radicale. La verità ha a che fare con quelle trasformazioni che rendono ciò che è nuovo oggi un residuato anacronistico domani. È il tempo, le epoche che si rincorrono, a dettare gusti e tendenze, a ordinare cambiamenti, infine sentenziare ciò che va sepolto. E quando il vento cambia, è brutale dirlo in questi termini, è difficile, se non impossibile, invertire la rotta. Il circo non è vecchio da oggi, dall’esplosione dell’epoca digitale. Era vecchio quando eravamo noi a essere bambini, quarant’anni fa. È un’idea di intrattenimento ottocentesco che oggi produce in molti, moltissimi, solo malinconia. Ma al proprio interno vivono discipline meravigliose che chiedono, pretendono, di resistere nel mondo contemporaneo. Roma: gli animali del circo invisibile
Gli appassionati di domani
Un bambino deve poter vedere un equilibrista in azione, un acrobata che gioca con i suoi numeri fra la vita e la morte, la fiducia che vive nella stretta con cui un trapezista ne tiene un altro sospeso sul vuoto. È di poche settimane fa la notizia di una Superlega calcistica organizzata dai maggiori club europei, progetto morto sul nascere, per fortuna. C’è un dato, però, che può essere utile all’analisi. Se vale per il calcio, uno degli sport tra i più ricchi del pianeta, vale senz’altro anche per il circo. Alcuni presidenti dei club coinvolti erano disposti ad aumentare i tempi di gioco, da due a tre, e a ridurre il minutaggio della singola frazione, da quarantacinque minuti a venti. Sui perché di queste ipotesi rivoluzionarie la risposta è stata laconica: perché gli appassionati di domani sono i bambini di oggi, abituati all’intrattenimento digitale, a giochi che durano pochi minuti, ripetibili all’infinito. Roma: gli animali del circo invisibile
In cerca di soluzioni
La soluzione della Superlega non era condivisibile, ma la preoccupazione, la consapevolezza di dover sopravvivere contro i giganti digitali senz’altro. Per non soccombere bisogna essere disposti a mutare ciò che si considera immutabile. Dare nuovo corso alla tradizione. Ripartire da zero. Ma di tutto questo a Rebecca poco importa. Con i suoi occhi neri, da vecchia nonna che tante ne ha viste, si lascia carezzare la fronte di pelle dura come legno, intanto ci guarda, scruta, nei suoi occhi passano riflesse le macchine in transito sull’Appia Nuova, gli autobus dell’Atac, con la proboscide, almeno tre o quattro alla volta, porta alla bocca delle carote che le hanno appena messo. Mangia. Vive. Rebecca non parla, magari lei di soluzioni ne avrebbe, per far sopravvivere il circo, per mettere concordia tra uomini e animali. Chissà, forse aspetta solo il primo che glielo chieda con gentilezza.
Da www.corriere.it del 29/05/21
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