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Calder, il circo leggero degli anni parigini

Sculture, disegni e film: la creatività di questo eterno bambino prima dell’approdo ai Mobiles

FRANCESCO POLI

PARIGI – Di Alexander Calder (1898-1976) tutti conoscono i Mobiles, le costruzioni metalliche snodabili con forme astratte colorate che fluttuano nello spazio mosse solo dal movimento dell’aria. Sono sculture cinetiche in continuo equilibrio instabile la cui originale tensione estetica è generata da un sorprendente connubio fra articolazioni meccaniche e riferimenti naturali. L’artista americano, e quasi parigino d’adozione, arriva a questa definitiva messa a fuoco del suo linguaggio verso la metà degli Anni 30, dopo una fase di lavoro che dura un decennio in cui entrano in gioco e vengono sviluppati tutti gli elementi chiave della sua poetica.

Ed è proprio a questo cruciale periodo che è dedicata l’esposizione curata da Brigitte Léal al Centre Pompidou, con oltre trecento opere tra sculture e disegni (e film documentari), una esemplare dimostrazione che la vera qualità artistica può anche essere espressione di una visione del mondo ironicamente e gioiosamente positiva, profonda e autentica proprio per questo. Una mostra particolarmente indicata come terapia per depressi e ipocondriaci, oltre che naturalmente per i bambini. E in effetti per tutta la sua vita Sandy Calder ha cercato di mantenere viva (sempre con chiara consapevolezza critica), l’energia del suo immaginario infantile. Il percorso espositivo si apre con l’ormai leggendario Circo Calder (1926-1931) una ricostruzione in miniatura di un circo con tutti i suoi protagonisti, dal domatore al trapezista, realizzati con geniale tecnica da bricoleur e con materiali poverissimi (fil di ferro, cartone, tappi di sughero , ecc.) ma magicamente funzionante grazie alla perizia dell’autore-burattinaio. L’opera esposta sarebbe solo una preziosa e melanconica reliquia da museo (il Whitney di New York) se accanto non ci fosse il film in cui si vede l’ormai vecchio artista, con il suo faccione da eterno bambino, intento a mettere in scena, forse per l’ultima volta, lo spettacolo. Strettamente connesse alla leggerezza aerea dei protagonisti del circo sono anche tutte le figure e i volti realizzati dall’artista con il fil di ferro: sculture praticamente immateriali fatte di articolazioni lineari che si sviluppano sospese senza peso e massa nell’aria. Sono lavori che fin dall’inizio (1928) sono stati giustamente definiti come “disegni nello spazio”. L’idea plastica è analoga a quella elaborata nello stesso periodo da Picasso e da Julio Gonzalez, ma in ogni caso le opere di Calder hanno presupposti espressivi differenti.

Basta guardare alla straordinaria fluidità grafica dei fili di ferro che delineano nel vuoto gruppi di acrobati, animali, atleti di vari sport, oppure ballerine come la mitica Josephine Baker, o ancora ritratti molto somiglianti (anche se al limite della caricatura) di amici come Mirò, Ozenfant, Varèse, e la modella Kiki de Montparnasse. Queste sculture sospese a un filo, sono installate in modo perfetto su fondali bianchi e con luci molto forti che producono delle ombre ondeggianti sulle pareti (enfatizzando così giustamente la dimensione lineare e spaziale dei lavori). Dopo questa fase figurativa, all’inizio degli anni ’30 Calder si sposta decisamente verso le forme astratte, fortemente suggestionato dalla visita allo studio di Mondrian, ma influenzato anche dall’organicismo astratteggiante di Mirò e di Arp. Nel 1931 aderisce al movimento Abstraction Création e espone sculture geometriche che rimandano a visioni cosmiche, messe in movimento da manovelle o da motorini elettrici. Subito dopo incomincia realizzare i suoi primi lavori con elementi caratterizazati da semplici equilibri fluttuanti che segnano l’avvio della sua spettacolare conquista plastica dello spazio fino ai Mobiles monumentali.

lastampa.it

22/07/2009 11.37.32

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